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Lo spirito snowboarder di Marco Galliano sul Manaslu


Erano le 10 del mattino del 4 ottobre 2011 ed i ramponi di Marco Galliano incidevano l’ultima neve che avrebbe salito quel giorno. Finalmente era arrivato in vetta alla lunga cresta affilata a quota 8163 metri del Manaslu. Da quel punto solo discesa e soprattutto snowboard. Già, perché se salire un 8000 è un’impresa comunque lo si faccia, senza usare le bombole per l’ossigeno artificiale è alpinismo vero, ma scendere con lo snowboard è una grande impresa. Nessuno prima di lui c’era riuscito, il Manaslu in snowboard è una prima mondiale.

Ormai ci conosciamo da più di 10 anni, e sono stati 10 anni di snowboard alpinismo, di salite e discese ripide, di corse con lo snowboard sullo zaino, faticacce e discese ovunque, in qualche caso anche compagni di gara come nell’ultima “Tre Rifugi”. Ma Marco è un viaggiatore, con la fantasia e con le gambe, che ha iniziato a guardare verso orizzonti verticali lontani dal “suo” Monviso. Quindi dopo Norvegia, Turchia, Elbrus in Russia, Muztagh-Ata in Pamir, sono arrivati gli 8000 in Himalaya, prima il Cho Oyu nel 2009 e quest’anno il Manaslu, quota 8163 metri. Una montagna che nella lingua locale Nepalese significa “Montagna dello Spirito”, uno spirito che è sempre stato alto nonostante gli inconvenienti, che facevano anche sorridere, come quando appresi attraverso il suo sito che i muli erano scappati e gli avevano seminato il materiale della spedizione in un’altra vallata. Ma lo spirito era temprato ad ogni avversità, come la grande nevicata che lo ha costretto per giorni al Campo Base, o come quando una forte scossa di terremoto, oltre che i gravi danni in Nepal, causò anche una valanga nei pressi della tenda dove dormiva. Ma lo storia ha avuto il suo lieto fine, la vetta raggiunta e la discesa completata, con lo snowboard, la prima al mondo che fa scrivere il suo nome di fianco ai primi salitori del 1956, il giapponese Toshio Imanishi e il nepalese Gyalzen Norbu, e ai primi discensori con gli sci del 2009, la guida alpina Guy Willet di Chamonix, con l’amico cliente Emma Jack. A proposito, il compagno di spedizione di Marco, Carlalberto Cimenti è sceso con lui con gli sci, a lui la prima italiana, per entrambi salita senza l’aiuto dell’ossigeno artificiale in bombole. Ed ora, in attesa della prima serata con il filmato della spedizione (che sarà stasera a Saluzzo) 4 chiacchiere con Marco Galliano, snowboarder a fil di cielo.

G: Cosa hai pensato quando ti sei accorto che non c’era più nulla da salire, che eri arrivato in vetta al Manaslu?

Marco: Il primo pensiero è volato a casa alla mia famiglia in particolare a mia madre. Subito dopo ho provato una soddisfazione incredibile…se penso che solo pochi anni fa non avrei mai creduto di raggiungere una vetta di ottomila metri mentre poi in soli due anni ne ho conquistate due!

Devo ammettere che ho provato un’emozione fortissima, ero incredulo! In questa spedizione abbiamo avuto molti intoppi, il meteo pareva non concedesse mai una finestra di bel tempo e quindi temevo di non combinare nulla. Quando ho fatto l’ultimo passo prima delle foto di rito, ho realizzato che ero in vetta perché sotto ai miei ramponi c’era uno spazio veramente ristretto, pareva impossibile che questo gigante himalayano stesse tutto sotto ai miei piedi!

G: Sono passati 2 anni dalla tua precedente spedizione al Cho Oyu, come hai passato il tempo tra queste 2 avventure sugli 8000 himalayani

Marco: Come sai appena rientrato dal Cho Oyu avevo già in programma di ripartire entro il 2011 certo non conoscevo ancora la meta, quindi ho avuto il tempo di fare una ricerca accurata su quale ottomila mi sarebbe piaciuto surfare.

Conoscendo Cala, gli ho proposto di tornare sul Manaslu, questa volta insieme. Man mano il progetto prendeva forma, gli allenamenti si facevano sempre più duri, i test sui materiali li affinavo maniacalmente sul campo, nel contempo stimolavo le aziende che mi avrebbero supportato in questa nuova ed ambiziosa spedizione. Tutto questo però lo facevo dopo il lavoro quindi potrai pensare che ritmi stressanti in questi due anni di preparativi, ed è per questo che quando raggiungi l’obbiettivo non ti pare possibile che in poche ore si concluda un lavoro durato anni, ora forse mi spiego quella sensazione di vuoto che provo quando realizzo sogni così grandi. Per fortuna questa volta ho avuto una grande sorpresa appena rientrato in Italia!

G: Tecnicamente quali sono stati i punti critici e le differenze con la spedizione del 2009 al Cho Oyu?

Marco: Il Manaslu tecnicamente è un po’ più impegnativo del Cho Oyu, soprattutto nel tratto tra il C1 e C2. Le seraccate sono spettacolari ma molto instabili, pensa che gli sherpa delle grandi spedizioni commerciali, pagati per aprire la via anche da tutte le altre spedizioni presenti, hanno dovuto salire tre volte su itinerari diversi per trovare l’itinerario più sicuro per permetterci di tentare la nostra ascesa. Il tracciato che bisogna compiere per arrivare in vetta è molto lungo e mai banale, con pendii ripidi e molto crepacciati ed esposti. Il Cho Oyu è molto più diretto, se non l’ultimo interminabile plateau sommitale.

G: Quanto ha inciso in questa spedizione la capacità di mettere a punto i materiali, cosa non secondaria visto che la discesa in snowboard non l’aveva mai fatta nessuno prima di te.

Marco: Quando si parte per una spedizione in alta quota, il materiale è fondamentale. Deve essere affidabile, pratico e leggero, se è possibile! L’abbigliamento, l’intimo, le tende ed i sacchiletto sono certo siano il top, mi hanno nuovamente protetto dal grande freddo di quest’anno e li utilizzo ormai da anni, dalla mia prima spedizione in Pamir. Per quanto riguarda invece gli scarponi e lo snowboard quest’anno avevo tutto materiale nuovo quindi era da “testare” in quota dopo le tante prove sulle Alpi.

Le scarpe le ho sostituite dal 2009, sono andate benissimo, pensa che sono mezzo chilo più leggere di quelle di prima. Ho avuto anche fortuna perché il giorno prima che partissi ho ricevuto le scarpe con le ultime modifiche che avevo richiesto per riuscire a surfare meglio (come saprai non sono scarpe da snowboard ma quelle tradizionali da alta quota per gli 8.000 che però io utilizzo anche per la discesa!) ed aver comunque il piede ancor più caldo, (mi hanno fatto la scarpetta interna con il primaloft). Sono stato l’unico dei tre a non avere congelamenti ai piedi, chiamarla fortuna?

Sullo snowboard ho dovuto sostituire l’attacco utilizzato sul Cho Oyu perché con questa scarpa non riuscivo ad ottenere abbastanza sensibilità, sempre con le tre chiusure anziché le due tradizionali, ma ho abbandonato il sistema a cinghie utilizzando strep classiche, rischiando che si rompessero per il gelo. In spedizione ho avuto anche il tempo di mettere a punto le ultime modifiche sui nuovi materiali specifici per lo snowboard-alp, che da questa anno sono in commercio, mi auguro sia una scommessa vincente!

G: Una parte importante della spedizione è la comunicazione al ritorno. Quanto è difficile realizzare foto è filmati mentre sali e scendi da un 8000?

Marco: Questa credo sia una delle complicazioni maggiori. Ormai pare scontato tornare con immagini e video dalle spedizioni in alta quota come fossi in una qualsiasi gita in montagna. Peccato che non tutti possono permettersi di avere in spedizione compagni cameramen professionisti. Cala ed io, con il grande aiuto di Nima, abbiamo cercato di raccogliere più materiale possibile. Durante l’ascesa, abbiamo raccolto molte immagini, ma tutti (compresi noi!!) vogliamo vedere la discesa. Quindi grazie alle videocamere sulla tavola e caschi, abbiamo qualcosa in più rispetto al Cho Oyu, certo che non saranno mai come uno le vorrebbe o meglio come le vorrebbero i media! Invece per quanto riguarda la comunicazione i blog hanno funzionato benissimo, pensa che dalla partenza ad oggi, il mio blog ha ricevuto quasi nove mila visite! Ho notato che l’immediatezza nel diffondere le notizie ormai è fondamentale, perfino estremizzata, credo sia il risultato del fenomeno dei social networks.

G: Sei stato in spedizione con Carlalberto Cimenti, lui con gli sci e tu con lo snowboard. Come avete condiviso quest’avventura?

Marco: Meglio di così, non poteva andare. Cala, prima di patire, penso non fosse così sicuro sulla mia determinazione e forza in quota, man mano poi è nato un rapporto d’amicizia basato sulla fiducia e rispetto reciproco. Questo è stata l’arma vincente per raggiungere con successo l’obbiettivo.

Sulla questione snowboard e sci non abbiamo mai pensato fosse un intoppo avere attrezzature differenti, anzi, è stato motivo di stimolo per ottenere il meglio di noi! Credo sia stata un esperienza indimenticabile anche per i moltissimi momenti condivisi serenamente a scherzare e ridere.

G: Visto che ti trovi a tuo agio in alta quota, che riesci a salire senza usare le bombole con l’ossigeno artificiale, dove pensi rimettere, prossimamente, la soletta del nostro amato snowboard?

Marco: Il progetto “A ottomila metri con lo snowboard” nato un anno fa, prevedeva il tentativo a due giganti himalyani a pochi mesi uno dall’altro, sempre con l’intenzione di ridiscenderli con lo snowboard.

La prima parte è stata compiuta, quindi già al campo base ho chiesto a Cala e Simone Laterra (altro italiano che ha condiviso con noi l’organizzazione della Prestige Adventure) se gli poteva interessare ripartire insieme in aprile per un altro ottomila e devo dire che non hanno esitato molto a darmi conferma. Più problematico invece, organizzarsi con il lavoro, la famiglia e in particolar modo trovare i soldi necessari, comunque il progetto c è. A giorni dovremmo ricevere il preventivo con il programma definitivo, la vetta prescelta è fantastica ed è molto attraente e non così scontata, chissà se riusciremo in questa difficile scommessa contro il tempo?

G: Chi ti ha aiutato anche senza venire con te in spedizione?

Marco: In primis, come sempre la famiglia, i tantissimi amici che mi sono sempre vicino, Mattia, senza di lui il blog non avrebbe vita, Veronica, nuova in squadra per le comunicazioni esterne ed addetta stampa. A tutta l’equipe della medicina dello sport di Torino, sono stati fondamentali per la riuscita di questo mio sogno in alta quota, lo stesso per tutte le persone che non vengono mai citate perché invisibili durante la spedizione ognuno con mansioni diverse ma indispensabili, a volte penso di esser molto fortunato ad avere così tanta gente vicina, pronta ad aiutarmi in questa passione.

Alle molte aziende e ai nuovi piccoli sponsor che hanno partecipato attivamente a questo ritorno in himalaya, quali: Ferrino & Highlab, Accapi, Custom made snowboards, Crispi, Salice occhiali, Gobandit, Board4alp, Gipron, Limone Piemonte, Bio fruits service, Giuggia sport, Jolly sport, Rent4events, Vento che passa e Turn Over bar. Quindi è a loro che si vorrei dedicare questo successo per il mio secondo ottomila!

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.